Negli ultimi anni una parte della sinistra italiana sembra aver perso il proprio punto di riferimento originario, spostando il baricentro del dibattito politico dai temi del lavoro e della giustizia sociale a quelli dell’identità e delle appartenenze, di fatto.
Un’evoluzione che alcuni osservatori vedono come una sorta di tentativo di inseguire la destra sul suo terreno, accettandone in parte linguaggi e interpretazioni.
Di fatto, valori storici come uguaglianza, solidarietà e progresso rischiano di restare sullo sfondo, mentre cresce la tendenza a distinguere tra lavoratori “accettabili” e altri considerati meno integrabili per ragioni culturali o religiose. Si tratta di un passaggio che molti giudicano come indicatore di un più ampio smarrimento di identità, dove la priorità non è più la tutela del lavoro in sé, ma la definizione di chi possa rappresentarlo.
Il caso Monfalcone e il ruolo di Fincantieri
La vicenda di Monfalcone, città che ospita uno dei principali cantieri navali di Fincantieri (che a Panzano, l’area di Monfalcone dove sorge il sito impiega più di 5.000 persone), è diventata negli ultimi mesi un esempio concreto di questa dinamica. Qui la sinistra locale, che ha firmato una mozione presentata dalla Lega, ha sollecitato l’azienda, a modificare le proprie modalità organizzative e la gestione degli appalti e subappalti, invocando la necessità di un maggiore equilibrio sociale all’interno del cantiere. Una posizione che, secondo alcuni analisti, finisce per attribuire all’impresa un ruolo politico che va oltre quella che è la sua missione industriale.
È ovviamente legittimo e comprensibile che le istituzioni locali si confrontino con una realtà produttiva di tale rilievo, ma appare complesso immaginare una riforma esterna di un gruppo che opera in oltre venti Paesi e genera un indotto economico internazionale. Le strategie industriali, come ricordano gli addetti ai lavori, richiedono competenze tecniche e visione globale, non semplificazioni o slogan di carattere politico.
Fincantieri, a Monfalcone come altrove, è considerata un punto di riferimento per l’industria navale europea. Negli anni ha investito in innovazione, sicurezza, formazione e welfare aziendale, introducendo protocolli di legalità, strumenti di mediazione culturale e progetti di social housing rivolti ai lavoratori. Un impegno che, nel dibattito politico, tende spesso a passare sotto silenzio, oscurato da contrapposizioni ideologiche.

Tra propaganda e confronto sul lavoro
La discussione su Monfalcone riflette quindi una tensione più ampia, dove la propaganda rischia di prevalere sulla sostanza. Da un lato si rivendica la difesa del lavoro come valore universale, dall’altro si finisce per filtrarla attraverso logiche di appartenenza o consenso. Lo stesso accade su temi delicati come quello dell’amianto, dove il confronto si è trasformato in terreno di scontro politico più che di reale tutela della salute e della sicurezza.
Monfalcone diventa così il simbolo di una complessità irrisolta: quella di un Paese che fatica a coniugare sviluppo industriale, inclusione sociale e rappresentanza politica del lavoro. Riscoprire un linguaggio comune e pragmatico, fondato su competenza e responsabilità, potrebbe essere il primo passo per superare una contrapposizione che, al momento, non sembra giovare né alle imprese né ai lavoratori.
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ultimo aggiornamento: 10 Novembre 2025 16:17